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“Non piangere sulla mia tomba”, canto degli indiani Navajo (duramente colpiti dall’epidemia da Covid-19)

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Non piangere sulla mia tomba: non sono qui.
Non sto dormendo. Io sono mille venti che soffiano.
Sono lo scintillìo del diamante sulla neve.
Sono il sole che brilla sul grano maturo.
Sono la pioggia lieve d’autunno.
Sono il rapido fruscìo degli uccelli che volano in cerchio.
Sono la tenera stella che brilla nella notte.
Non piangere sulla mia tomba: io non sono lì.

Il Covid-19 ha colpito duramente la Nazione Navajo

Negli Stati Uniti, il COVID-19 minaccia di decimare la generazione depositaria della cultura e delle tradizioni Navajo. Proprio all’interno della Nazione Navajo, un insieme di territori a cavallo tra Arizona, Nuovo Messico e Utah abitati da oltre 173.600 nativi americani, si registra infatti il più alto tasso di infezione da coronavirus pro capite degli USA: ci sono almeno 4.253 casi confermati, ovvero 2.450 infezioni ogni 100.000 persone, e almeno 153 morti. L’incidenza dell’infezione è, qui, maggiore che a New York (dove il 18 maggio, il tasso di infezione era di 1.827 persone ogni 100.000 abitanti).

CONDIZIONI PRECARIE. La pandemia sarebbe entrata nei territori Navajo dal sud dell’Arizona, e si è poi diffusa molto rapidamente a causa di gravi problemi infrastrutturali che i rappresentanti di questo popolo denunciano da anni. Decenni di appelli ignorati dal governo federale hanno lasciato molte famiglie senza servizi di base come l’acqua corrente, che manca al 30-40% dei residenti, ma anche senza Internet, senza una rete fognaria adeguata né sistemi di riscaldamento domestico.

In queste condizioni non è possibile lavarsi regolarmente le mani, né tantomeno praticare il distanziamento sociale. Molte case accolgono più generazioni della stessa famiglia, e basta che uno soltanto si ammali di COVID-19 perché tutti gli altri siano contagiati. Mancano strutture esterne per la quarantena, e se a contrarre l’infezione è chi va a lavorare, non ci si può certo permettere di aspettare la guarigione.

LE RAGIONI DEL CONTAGIO. Come se non bastasse, la Nazione Navajo è un “deserto di cibo” servito da 13 supermercati soltanto, con pochissimi altri servizi tra piccoli empori e distributori di benzina. Per fare la spesa è spesso necessario guidare per più di un’ora o varcare confini, per raggiungere negozi sovraffollati moltiplicatori di contagio. Ad accelerare le infezioni potrebbe aver contribuito anche un evento di superdiffusione – una cerimonia religiosa molto partecipata, come avvenuto anche altrove in Asia e in Europa.

L’ASSENZA DI WASHINGTON. Al personale sanitario mancano mascherine, guanti e tute protettive, e la popolazione è già in partenza in peggiori condizioni di salute rispetto alla media: i nativi americani e dell’Alaska hanno un’aspettativa di vita inferiore agli altri cittadini USA e una più alta incidenza di malattie croniche come diabete e obesità, fattori di rischio per forme gravi di COVID-19. E proprio queste popolazioni che avrebbero maggiore necessità di aiuto hanno atteso per sei settimane l’arrivo dei fondi stanziati dal CARES act, il provvedimento varato dal governo americano per le famiglie, i lavoratori e le imprese in difficoltà; nel frattempo, la rete di sostegno per coloro che tra i Navajo sono stati colpiti da COVID è arrivata grazie all’imponente mobilitazione dei giovani, che hanno organizzato raccolte fondi online, visite a domicilio, staffette per il trasporto e sistemi di distribuzione di viveri e medicinali di casa in casa.

Le conseguenze economiche di quanto sta accadendo saranno drammatiche: i territori Navajo stanno affrontando uno dei più rigidi lockdown di tutti gli Stati Uniti, con un coprifuoco fissato ogni settimana dal venerdì sera al lunedì mattina – un divieto ad uscire che ha già colpito duramente le famiglie che vivono nelle riserve.

Fonte: focus.it


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